Housing First (prima la casa)

L’Housing First nasce negli anni ’50 del secolo scorso negli Stati Uniti e negli anni ’90, Sam Tsemberis, sperimenta a New York i metodi per togliere dalla strada i senza tetto e dargli un alloggio (va bene portargli il cibo e le coperte ma prima se possibile toglierli dalla strada). Si tratta di fornire alle persone che vivono in strada e non hanno una casa dove andare, un alloggio veloce ma sopratutto permanente. Il nome dell’organizzazione da lui fondata è Pathways to Housing. L’organizzazione basa la propria attività sul fatto che la casa deve essere uno dei primi bisogni umani. L’Housing First non è sicuramente una soluzione finale e unica, però è dimostrato che la maggior parte degli interessati al progetto, mantengono la loro abitazione nel tempo e gettano le basi per un miglioramento della posizione. Dopo, una volta stabiliti, si può accedere al mondo del lavoro con più tranquillità. L’Housing First funziona abbastanza bene, da accesso ad una vita definita “più dignitosa” e ad un’assistenza sanitaria e organizzativa più mirata (ammesso che, chi vive in strada, voglia effettivamente cambiare le cose e il modo di vivere). La Finlandia è uno degli stati che meglio ha fatto funzionare questo modello e dispone di un ottimo welfare (letteralmente: benessere, è il sistema sociale che cerca di garantire alla persona i servizi sociali indispensabili). Ci sarebbe molto da discutere sui termini “reinserimento nel tessuto sociale” e simili, ma questi sono altri ragionamenti che non possono essere trattati qui.

La parte seguente è tratta da https://it.wikipedia.org/wiki/Housing_First:
L’Housing First riconosce l’homelessness (non avere una casa) come fenomeno complesso e multi fattoriale rispetto al quale logiche operative fondate sul modello “stair case” e sull’emergenzialità ed estemporaneità degli interventi si sono rivelate limitate, inefficaci e dispendiose. Il modello dell’Housing First propone, infatti, un sostanziale “rovesciamento” del tradizionale percorso a gradini o a tappe che vede, nella migliore delle ipotesi, la persona senza dimora “passare” dal marciapiede al dormitorio, da questo alle comunità, ai gruppi appartamento, a varie forme di convivenza e infine ad un alloggio. Trattasi di passaggi nei quali la persona è chiamata a dimostrare e a fornire agli operatori e alle istituzioni prove e volontà di uscire dalla strada, come ad esempio l’accettazione di un percorso di cura e trattamento, vincolante dell’inserimento abitativo. Elemento centrale e punto di partenza dell’approccio Housing First è, invece, l’inserimento immediato e diretto dalla strada all’appartamento gestito in autonomia. Ciò rappresenta un punto di rottura nella routine di una persona senza dimora, un cambiamento e uno stimolo delle proprie capacità di (auto)gestione e (auto)determinazione del proprio percorso di vita. Attraverso l’inserimento abitativo si creano, dunque, le condizioni affinché la persona possa esercitare pienamente le sue capacità di scelta e di azione e riconoscersi ed essere riconosciuta come protagonista.

In definitiva non c’è molto da capire e il metodo è abbastanza semplice (in teoria). L’abitazione è tutto? Non serve altro? Non lo so. Bisognerebbe sentire il parere di chi, pur avendo da sempre la sicurezza di un posto dove stare, più o meno stabilmente, riesce a tirare avanti in modo difficile e per niente sicuro e tranquillo.
Personalmente sono favorevole all’Housing First solo se c’è una chiara volontà di cambiamento del soggetto interessato. Insomma tutto questo non deve essere una forzatura, ognuno è libero di scegliere il tipo di vita che vuole e gli si deve dare aiuto e supporto solo se è lui in prima persona che lo richiede e lo vuole, qualunque aiuto chieda, non necessariamente la casa.
Sto raccogliendo testimonianze dirette e opinioni degli interessati (che al momento sono molto contrastanti, c’è chi vuole e chi non vuole…) per capire meglio se sia utile indirizzarli verso questo tipo di percorso, che poi a seguire, comporta degli obblighi di vita che magari non sono ricercati. Alcune città italiane, attraverso gli uffici casa dei rispettivi comuni, tentano un approccio all’Housing First, molte con successo, altre senza risultati apprezzabili, anche perché a volte si tenta di mettere in piedi strutture con personale scarsamente preparato e incompetente, messo lì così, tanto per fare, quasi come fosse solo una moda del momento disporre a tutti i costi di queste strutture.

Per approfondire:
https://www.fiopsd.org/housing-first/
https://www.housingfirstitalia.org/
https://www.lasvolta.it/2920/mai-piu-senzatetto-il-modello-finlandese
https://www.internazionale.it/notizie/jon-henley/2019/06/07/finlandia-senza-dimora-housing-first

si può leggere anche la scheda Housing first/Housing led del fio.psd (Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali), che ho salvato sul server.